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Ma il suo pezzo forte era la foto del falco in volo... STRAMERDA...ecco, pestata in pieno, questo succede quando non si guarda per terra..

Però non era di cane.

Fabio riconobbe subito l'inconfondibile odore di selvatico, la cosa spiaccicata era il ricordo lasciato da un cinghiale di passaggio.

Si rimise al collo la macchina imponendosi di stare più attento.

La chiesa col campanile di Bigolino erano il suo punto di riferimento verso l'acqua ed il posto dove era stato la settimana scorsa, là dove gli era parso di vedere qualcosa di strano ed ora voleva tornarvi.

Tutta colpa di quel libro di Laura S. sulle leggende della Piave.

Storielle per bambini pensò, cercando di convincersi che la sua curiosità era esclusivamente scientifica.

La boscaglia cominciò a diradarsi tra cespugli di rosa canina, utilizzata con le sue "more" come astringente, da qui il suo nome veneto stropacui, inelegante ma esplicita definizione per una pianta che sa regalare delicati fiori di un roseo colore, da lontano somiglianti a quelli del pesco.

Il raglio catarroso di un asino distrusse ogni vena poetica, non veniva dal gregge di pecore accampate là vicino, ma da più lontano, dalle case vecchie sopra la riva.

Quello era lo struggente richiamo di Tojo alle sue musse .

Tojo era l'insazziabile asino mandrillo di Roby.

Prima stava nel cason recintato vicino ai campi coltivati sulle grave, in compagnia dell'amico pony.

Il posto non era male ma, privato dell'amoroso sfogo, Tojo non poteva fare a meno di scappare in continuazione.

L'ultima volta era salito fin su al borgo e Roby alle 5 di mattina lo riportò a casa trainandolo con una corda legata alla sua moto da cross.

"Provateci voi a tirarlo a mano",  spiegò alle risate degli altri, dopo aver raccontato il fatto.

Fabio arrivò sul bordo della scarpatella argillosa mangiata dalla corrente nell'ultima piena.

in quel punto si vedeva il sassoso letto bianco della Piave, la riva opposta dal ponte di Covolo-Vidor, fino a Segusino ed alla stretta di Quero.

Si girò verso il piccolo prato retrostante, quasi sgombro da cespugli, quello poteva essere un buon posto per lo spuntino a base di soppressa e morlac del Grappa, previsto per la mattinata del 4 luglio.

Al pane ci avrebbero pensato Claudio ed Angelo impastato e cotto sul forno a legna nelle loro rispettive case, sennò perché si chiamerebbe de casada ? immaginando, gli venne fame, tornò indietro di alcuni passi per staccare uno dei rosati fiori della rosa canina, rigirato il gambo tra il pollice e l'indice, poi se lo passò tra le labbra a mò di sigaretta.

 

 

Riavvicinatosi alla scarpatella con un salto finì sulla rena poco sotto, provocando la fuga saettante di una biscia d'acqua: NATRIX-NATRIX.

L' innoquo rettile veniva da un' ansa di acqua bassa popolata di piccoli, ormai rari, marson: COTTUS-COTTUS.

Vicino, sulla sabbia umida, le impronte degli zoccoli di un capriolo, una madre col suo cucciolo venuti a bere.

La Busa Granda era più in là, abbassata di livello ma ancora alimentata da un Ramon della Piave.

Fabio sostò sul bordo per qualche minuto, non c'era niente di strano, un bel barbo vicino alla corrente e delle trote fario quasi a pelo d'acqua, ma nient'altro.

Non come l'altra volta, quando gli era sembrato..., monade concluse Fabio.

Il sole era già tramontato, se voleva fotografare il gufo, di solito appollaiato sul talpon più alto delle grave doveva sbrigarsi.

Lasciò cadere dal palmo della mano, sull'acqua, il fiore di rosa canina che teneva in bocca e si riavviò verso la boscaglia.

 

 

 

L'imbrunire è l'ora del gufo che si apposta per la caccia e il suo piatto preferito è l'arvicola: ARVICOLA TERRESTRIS.

Fabio si accucciò sull'erba vicino al grande albero in paziente attesa.

La luce stava scemando, quasi non si accorse del torpore che stava arrivando dopo essersi più comodamente sdraiato.

Si svegliò di colpo, al sonoro canto del rapace che, silenziosamente, era tornato al suo posatoio.

Si alzò cautamente, riuscì ad inquadrare gli enormi occhi di gatto per una decina di scatti, meno male che l'escursione era servita.

Soltanto allora si accorse del fiore rosa tra le pieghe della mimetica, ma non l' aveva buttato in acqua?

La maglia poi era bagnata.

Girò la testa da una parte e dall'altra: nessuno.

L' erba intorno era come pestata.

Quasi corse per ritornare al borgo.

Prima di risalire la riva, una cornacchia allarmata cominciò il suo fastidioso verso.

Sarà stata la quasi corsa dopo il breve sonno sull'erba, eppure gli sembrò che il corvide cantasse un gracchiante lè là   -   lè là   -   lè là.

Fabio guardò verso i balconi chiusi delle case sopra la riva, prima di risponderle : " Ma và a dormir cretina "

 

Testo di M. Pizzaia

 

Foto di F. Dartora  tutte scattate sulle grave della Piave

 

In questo racconto ogni riferimento non è casuale e ben poco è frutto di fantasia.

 

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